martedì 5 febbraio 2013

la FLENTIA e altri simboli di punteggiatura ufficiosi

la "," dopo il ma ci sta benissimo. non me ne frega una cazzo della grammatica se dice cose stupide. ci sta bene. se potessi usare la FLENTIA sarebbe tutto più comodo. ma sono l'unica persona al mondo ad apprenderne appieno il significato, sulle 5 che ne conoscono l'esistenza. inizia così un post a caso 391 giorni, 1 ora, 31 minuti e 17 secondi dopo il precedente.. . .. finisce così un post a caso 391 giorni, 1 ora, 44 minuti e 17 secondi dopo il precedente..

martedì 10 gennaio 2012

la fine di un'amicizia

il duomo di milano ti scoppia in faccia ed è il big beng..

avevo un sacco di robe da scrivere,
amici che se ne vanno,
a parer mio senza motivo,
donne che mi mancano,
donne a cui penso..

ma mi son perso nei miei pensieri

日曜日よりの使者

このまま どこか遠く 連れてってくれないか
君は 君こそは 日曜日よりの使者
たとえば 世界中が どしゃ降りの雨だろうと
ゲラゲラ 笑える 日曜日よりの使者
きのうの夜に飲んだ グラスに飛び込んで
浮き輪を浮かべた 日曜日よりの使者
適当な嘘をついて その場を切り抜けて
誰一人 傷つけない 日曜日よりの使者
流れ星が たどり着いたのは
悲しみが沈む 西の空
そして東から昇ってくるものを
迎えに行くんだろ 日曜日よりの使者
このまま どこか遠く 連れてってくれないか
君は 君こそは 日曜日よりの使者
たとえばこの街が 僕を欲しがっても
今すぐ出かけよう 日曜日よりの使者
流れ星が たどり着いたのは
悲しみが沈む 西の空
そして東から昇ってくるものを
迎えに行くんだろ 日曜日よりの使者

lunedì 14 marzo 2011

Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti. Credo come Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani" (1).
Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.


"La Città futura", pp. 1-1 Raccolto in SG, 78-80.

Nota

(1) Cfr. Friedrich Hebbel, Diario, trad. e introduzione di Scipio Slataper, Carabba, Lanciano 19I2 ("Cultura dell'anima"), p. 82: "Vivere significa esser partigiani" (riflessione n. 2127). Questo stesso pensiero di Hebbel era stato pubblicato nel numero del "Grido del Popolo" del 27 maggio 1916, insieme con le seguenti due "riflessioni" tratte dalla medesima opera: " 1. Un prigioniero è un predicatore della libertà. 2. Alla gioventù si rimprovera spesso di credere che il mondo cominci appena con essa. Ma la vecchiaia crede anche più spesso che il mondo cessi con lei. Cos'è peggio? "

11 febbraio 1917
Antonio Gramsci

martedì 1 marzo 2011

l'incredibile dono della procrastinazione

mi piace un sacco questo titolo, quindi lo ripeto un'altra volta.

sono fatto male, ma sono fatto così, qual è il problema?

non ti piaccio? non mi frequentare.
è semplice.

libero arbitrio.

non è che abbia qualcosa da dire.
quindi la finiamo qui.

martedì 22 febbraio 2011

la felicità si sfiora solo a metà salto.

un bel post sincero.
un sacco di tempo che non ne produco uno.
eccolo qui, senza senso, senza filo, solo perchè ne ho un bisogno psichico.

sono felice, o meglio, ero felice, ero un po' più felice oggi pomeriggio di adesso.
ma sono comunque felice.
e non so che fare, ho milioni di progetti in testa che non portano da nessuna parte e voglio seguirli tutti, ma non posso..
libero solo se non libero. il libero arbitrio è una carognata a volte.
e sono un megalomane cazzone, sono un pagliaccio, lo so, lo accetto, vado avanti.
ma son diverso, saranno i baffi ma sono profondamente diverso.
sarà l'amore..

sarà un insieme di sostanze e coincidenze ma son felice cazzo.
e dormo poco, pochissimo.
ma non ho sonno, quasi mai.
poi quando ho sonno comunque non dormo e allora che cazzo ci provo a fare, mi stendo e inizio a pensare a cose a caso.
ad andare con gli elfi, in mezzo al nulla a lavarmi con la cenere, meditare e coltivare.
un lavoro fisico, semplice, lento. come la natura.
sto diventando un fricchettone..
però non solo.

ho dentro anche un imprenditore, che non ha voglia di fare un cazzo, ma c'è.
e rompe i coglioni, insiste con le sue idee del cazzo..
servono soldi! non ne abbiamo, non c'hanno mai interessato.

ma mi sa che è giunto il momento di accumularne.
servono sempre..

ma io non voglio vivere a Milano.
nemmeno in svizzera, questo è certo. un'angoscia ieri!!

è come qui, più o meno, solo più pulito.
poi guardi meglio e capisci che non c'entra un cazzo in fondo.
SEMBRA come qui, ma non lo è.
Lugano sembra Milano, progettata da un computer, tutto perfetto, pulito.
anche l'acqua del fiume scende in modo diverso, più dignitoso, più altezzoso, con del contegno che l'acqua del naviglio non c'ha.
un kebab 8 euro.. ma è un kebab!! è carne rancida con delle verdure cadute per terra! come cazzo fai a farlo pagare così?!
anche un piatto che in thailandia costava tipo 1 euro costa 17! ma come fai!?
con che coraggio!?
che poi perchè a volte scrivono kebap non l'ho capito, è con la p o la b? boh.

comunque parliamone, sai che mi piace.

e senza nessun senso, nello stesso modo in cui è iniziato.
finisce.

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